Fiabe e racconti popolari dell’isola di Procida

a cura di Maria Masucci, Mario Vanacore, illustrate da Alessandro Mautone
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Descrizione

collana: napoli e la campania
anno pubblicazione: 2021
formato: 22x24
pagine: 150
immagini: 102 a colori
ISBN 978-88-8497-772-4

Questo libro nasce dal profondo desiderio di restituire ai procidani un tassello della cultura tradizionale, fatto di brevi narrazioni, aneddoti divertenti, fiabe, storie della paura,  credenze, e al contempo di fare rivivere le voci dei narratori intervistati nel corso di una lunga ricerca sul campo iniziata nel 1980. Oltre quaranta anni fa, infatti, la Soprintendenza ai B.A.A.A.S. di Napoli commissionò ai curatori di questo libro e ad altri ricercatori una rilevazione del patrimonio folklorico procidano in tutti i suoi aspetti, dalle cerimonie religiose a quelle magiche, dalla narrativa di tradizione orale ai canti. I testi raccolti mediante interviste agli anziani dell’isola furono depositati nel 1980 presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari di Roma e la Soprintendenza di Napoli. Le trascrizioni dei testi qui riportati comunicano in modo quasi fedele la modalità espressiva e la spontaneità degli informatori intervistati. Tali narrazioni possedevano un tempo un grande valore pedagogico e una funzione ‘terapeutica’ all’interno della cultura popolare dell’isola; inoltre esse venivano spesso raccontate in occasioni di narrazioni collettive. Le illustrazioni di Alessandro Mautone, famoso artista e ceramista campano, particolarmente sensibile al linguaggio metaforico del mito e della fiaba, sembrano cogliere in profondità, attraverso il gesto artistico, il senso ultimo del racconto, il suo messaggio più intimo e cifrato. Il suo tratto disegna un passato ancestrale in cui le fiabe, le narrazioni e i miti hanno ancora una forte valenza simbolica ed esplicativa della realtà.


Recensione di Pier Luigi Razzano

Procida è l’isola delle storie. Da secoli la sua identità si è consolidata nell’infinita quantità di racconti, fiabe, leggende e aneddoti custoditi dai suoi abitanti. Personaggi e vicende tramandate oralmente da generazioni furono oggetto di una rigorosa ricerca sul campo di due studiosi, l’antropologa Maria Masucci e lo psicologo Mario Vanacore all’inizio degli anni Ottanta, quando si recarono a Procida per registrare le storie della loro tradizione dalla diretta voce degli isolani. Quell’indagine sul patrimonio folklorico commissionata dalla Soprintendenza di Napoli servì a compilare la più ampia catalogazione della cultura procidana rintracciando tradizioni, cerimonie religiosi, canti, narrativa orale. Tutti quei racconti tornano ora in un volume, intitolato “Fiabe e racconti popolari dell’isola di Procida” a cura della stessa Masucci e Vanacore, rivisto rispetto all’edizione del 1987, e anche arricchito dagli acquerelli di Alessandro Mautone, illustrazioni che traducono con immediatezza la vivacità del racconto che emerge dalla voce dei parlanti. E sono proprio i procidani i cantori di un libro che è un “cunto” dell’isola, un caleidoscopio sorprendente che ammalia con racconti che si intrecciano l’uno nell’altro, si rinnovano di continuo di ulteriori dettagli, proprio seguendo la potenza di una antica tradizione orale. I protagonisti sono, quindi, gli abitanti che stanno sull’isola, quelli che hanno ascoltato le storie, chi le ha invece custodite e ama adesso affidarle alle nuove generazioni: Felicina Frantellizzi di Terra Murata, Lucia Esposito della Chiaiolella, Sestina Cuccurullo della Corricella, Antonio Capodanno nella sua barberia, i marinai riuniti nel bar di Mimì Percuoco, e tutte le donne in circolo che narrano con cura, con la stessa pazienza che impiegano nel lavorare il loro lino. A Procida, da secoli, tutto è un momento collettivo, un rito quotidiano semplice, condiviso, che segue il ritmo delle ore, lega la comunità intorno a un braciere, durante il rosario, nel momento della pesca e al tramonto prima di cena. Felicina, Sestina, Antonio e gli altri raccontano del Monaciello che è solito lasciare dei soldi oppure una buona bottiglia di vino, oppure del prete sulla spiaggia che affronta le “janare”, le spaventa, e loro chiamano il diavolo per poter fuggire. Il racconto orale ha la sua variazione – Masucci e Vanacore nella trascrizione indicano anche l’intonazione della voce, quando ridono o la voce si fa più ombrosa – e ogni volta si rimpolpa con nuovi dettagli, prende altre direzioni, così le “janare” sono anche malinconiche, non più maligne, volano in America per far tornare i loro mariti. Il volume raccoglie inoltre le storie dividendole per generi: ci sono i racconti di paura, le leggende religiose, gli scherzi e gli aneddoti, le fiabe di magia e quelle dedicate agli animali. In ognuna di queste storie c’è l’anima di Procida, lo spirito misterioso, affascinante, il sortilegio scatenato anche dal movimento di un’ombra in un pomeriggio di inverno, come racconta Peppe Barra nell’introduzione. Proprio sua madre, la grande, impareggiabile Concetta Barra, diventa nel volume la gran cerimoniera, sacedotessa del “cunto procidano”. È lei a raccontare la leggenda de “Il trave di fuoco”, dell’apparizione dell’accattone zoppo chiamato “Giovedì Muzzill”, l’aneddoto di Pascalone, il figlio scemo, e in ogni storia sembra sempre ascoltare la modulazione della sua voce. Un suono che tocca corde sorprendenti, accentua il momento spaventoso, il sorprendente, il fantasmagorico, trascinando nel cuore pulsante delle storie.