Kahn e Mies

Tre modi dell’abitare

Federica Visconti, Renato Capozzi
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Descrizione


collana: Moderni Maestri Mo_Ma 7
anno pubblicazione: 2019
formato: 12x17
pagine: 96
immagini: 72 b/n
ISBN 978-88-8497-722-9


Mies van der Rohe e Louis Isadore Kahn sono stati Maestri scelti, ormai quasi venti anni fa, nell’ambito delle rispettive ricerche di dottorato degli autori di questo volume: quella di Renato Capozzi dedicata al Maestro di Aquisgrana e, in particolare, alle sue architetture ad Aula lette, attraverso la triade ideazione-costruzione-composizione, come paradigmatiche dell’edificio pubblico moderno e quella sulla architettura per la ricerca scientifica di Federica Visconti che non poteva non trovare nei Richards Medical Research Buildings ma soprattutto nel Salk Institute for Biological Studies di Kahn un riferimento imprescindibile nella riflessione sul rapporto tra tema, tipo e luogo. Nel tempo il lavoro di questi Maestri è rimasto un punto di riferimento costante legato non tanto al mero giudizio estetico sui loro capolavori ma alle strade che essi avevano segnato e che, evidentemente, interessava continuare a percorrere: Mies van der Rohe e, in particolare, il rapporto tra forme della costruzione e espressività della forma architettonica; Louis Kahn e l’architettura come mezzo per la rappresentazione delle istituzioni umane.


Recensione (in italiano e inglese) del volume:  Abitare lo spazio attraverso archetipi. Letture delle opere di Kahn e Mies
Giuseppe Verterame,  FAMagazine 51, January-February-March 2020

Il contributo che il piccolo − e denso volume Kahn e Mies. Tre modi dell’abitare di Federica Visconti e Renato Capozzi intende trasmettere è chiaro a partire dal titolo, poi rimarcato dall’immagine della copertina − un collage dell’aula del Bacardi Building di Mies posato sul pavimento di travertino del complesso per il SalkInstitute di Kahn ossia mettere a confronto l’opera dei due Maestri attraverso l’analisi di opere selezionate, presentate nelle pagine del libro tramite ridisegni, alla ricerca di punti di contatto e divergenze, a partire dal tema dell’abitare, inteso come argomento costitutivo dell’architettura. Come afferma Giorgio Agamben, infatti, «l’abitazione − o, piuttosto il nesso fra costruzione e abitazione − è, cioè, l’a priori, la condizione di possibilità dell’architettura. L’architettura è arte della costruzione, nella misura in cui è, anche, arte dell’abitazione». Il libro, che costituisce il settimo volume della collana ‘Moderni Maestri’ della casa editrice napoletana Clean, ha il merito di trattare un tema chiave dell’architettura attraverso letture che scompongono e dissezionano i progetti per metterne in evidenza le ragioni formali, secondo chiavi interpretative differenti ma ugualmente attinenti al tema. Ne risulta un libro che propone interessanti riflessioni intorno alle opere e alle questioni sollevate, in grado di trasmettere al lettore una sorta di solida consistenza didattica. Ciò è reso possibile dalla struttura del libro che propone costanti intersezioni tematiche tra i contributi di Federica Visconti e Renato Capozzi: essi sviluppano, a partire dalle analisi compositive, istanze critiche, rispettivamente di Kahn e Mies, in parallelo e secondo tre categorie interpretative, quali l’abitare privato, l’abitare collettivo e l’abitare pubblico − con quelli di Marco Mannino (Stanza, aula. Materialità e trasparenza) e Carlo Moccia (Moderni Maestri). Trasmettere un lavoro di ricerca di lunga durata, come quello compiuto dagli autori pretende un monito, che essi formulano fin dal principio − nell’introduzione − riguardo la «necessità, in architettura, di scegliersi dei Maestri e, con essi, le architetture di riferimento con le quali misurarsi», suggerimento che rivela una certa idea di fare scuola degli autori, indicando agli allievi l’importanza di misurarsi con i riferimenti e di «scoprire cercando». La lettura dei progetti mette in evidenza i modi del comporre dei due Maestri ed individua nel ridisegno uno strumento di indagine compositivaper la comprensione dell’architettura, che restituisce concetti di abitare lo spazio declinati in forme differenti. L’approccio compositivo di Mies tende a spogliare l’architettura e ridurre la materia a pochi elementi che configurano lo spazio interno e che rappresentano il carattere tettonico dell’edificio, sublimato dal punto di vista formale fino a giungere all’Aula che, secondo Renato Capozzi, rappresenta il paradigma dell’edificio pubblico moderno, «un tipo riassuntivo in cui le parti e le sue articolazioni vengono subordinate al tutto». Kahn, invece, restituisce l’idea di un abitare domestico a partire dall’archetipo della stanza, per mezzo del quale produce strutture paratattiche che determinano sequenze architettoniche, scarti planimetrici che mettono in relazione pieni e vuoti e che producono un carattere di internitàdegli spazi, come afferma Marco Mannino. Tali condizioni dell’abitare producono differenti esiti e sperimentazioni, ma ugualmente interessati a ragionare sul senso delle forme e sul valore dell’ordine per l’organismo architettonico moderno, come sostenuto da Carlo Moccia. Mies costruisce una spazialità fluida, dove lo spazio − negazione della perenne distinzione tra contenitore e contenuto − diventa materia costruttiva, in grado di declinare l’ordine secondo una gerarchia di elementi compositivi che conferiscono all’architettura i caratteri di uno spazio assoluto che prescinde da definizioni funzionali. Nelle sue architetture non è percepibile un limite, poiché lo spazio si libera da occlusioni visive per potersi unire spiritualmente con la terra e il cielo, assimilando l’archetipo del riparo, che favorisce l’esplicarsi di una «aspirazione di un abitare moderno all’‘apertura’ e all’‘attraversamento’» formalmente compiuta in ambienti contemplativi che connettono visivamente interno ed esterno. Kahn, invece, ricerca un ordine complessivo a partire dalla singolarità della stanza, che è origine dell’architettura e che − come affermato da Kahn e riportato da Federica Visconti nel saggio Kahn. La stanza come principio dell’architettura «caratterizza un’armonia di spazi adatti ad una certa attività dell’uomo», in altre parole, rende possibile l’abitare domestico.   

The contribution that the small and dense volume Kahn and Mies. Three ways of living by Federica Visconti and Renato Capozzi wants to transmit is clear from the title, then remarked by the image on the cover − a collage of the hall of the Mies Bacardi Building laid on the travertine floor of the complex for the Kahn SalkInstitute − to compare the work of the two Masters through the analysis of selected works, presented in the pages of the book through re-drawings, in search of similarities and differences, starting from the theme of living, intendedas a constitutive subject of architecture. Asasserted by Giorgio Agamben, indeed, «dwelling − or, rather the link between building and dwelling − is the a priori, the exercise of power of architecture. Architecture is the art of building, to the extent thatit is, also, the art of dwelling». The volume, which is the seventh volume of the series ‘Moderni Maestri’ by the Neapolitan publisher Clean, has the merit of dealing a keytheme of architecture through readings that break down and analyze the projects to highlight the formal reasons, according to different interpretative keys, equally relevant to the theme. The result proposes interesting reflections on the works and issues raised, able to convey to the reader a sort of solid pedagogical consistency. Thisis made possible by the structure of the book that proposes regular thematic intersections between the essays of Federica Visconti and Renato Capozzi: they develop, starting from the analyses of composition, critical issues, respectively of Kahn and Mies, simultaneously and according to three interpretative categories as the private living, the collective living and the public living − with those of Marco Maninno (Room, hall. Materiality and clearness) and Carlo Moccia (Modern Masters). Conveying a long-term research work like the one made by the authors demands a warning, that they express from the beginning in the introduction − about the «need, in architecture, to choose Masters, and with them, the reference architecture with which measure», suggestion that reveals a particular way of teaching of the authors, showing to the students the importance of measuring one self agains treferences and «discover while seeking». The reading of the projects highlights the ways of composing of the two Masters and in the re-drawing it identifies a tool of compositional investigation to understand the architecture, that references ideas of living the space expressed in different forms. The design approach of Miestends to strip down the architecture and reduce the matter to a few elements that set up the inner space and that represent the tectonic character of the building, idealized in a formal process that reaches the archetype of the Hall which, according to Renato Capozzi, represents the model of the modern public building, «a concise type where the parts and its articulations get subordinated to the whole». Kahn, instead, provides the idea of a domestic living starting from the archetype of the room, through which he designs paratactic buildings that define architectural sequences, swerve of the plan that connectfullness and voids and that express an inner character of the space, as asserted by Marco Mannino. Such living conditions produce different outcomes and experiments, though all equally interested in thinking about the meaning of the forms and the value of order for the modern architectural body, as argued by Carlo Moccia. Mies builds a fluid space, where the space itself − refusal of perpetual distinction between enclosure and content − becomes constructive matter, able to articulate the concept of order according to a hierarchy of compositional elements that give to the architecture the characteristics of an absolute and pure space. In his buildings a limit or border is not perceivable, because the space becomes free from visual obstructions in order to be able to spiritually meet the ground and the sky, absorbing the archetype of the shelter, which promotes the realization of a «aspiration of a modern living to the ‘openness’ and to the ’‘crossing’» formally accomplished in contemplative spaces that visually link interior and exterior. Kahn, instead, researches an overall order starting from the singularity of the room, that is the origin of the architecture and which − as written by Kahn and reported by Federica Visconti in the essay Kahn. The room as principles of architecture − «characterizes an harmony of spaces suitable for a certain activity of man», in otherwords, makes the domestic living possible.